La schiuma della memoria

Qui si parla innanzitutto di un romanzo, uscito nel novembre del 2010 presso le edizioni Montag di Tolentino.
Il titolo è La schiuma della memoria e l'ho scritto io.
Poi si parla e si scrive di altre cose, di fotografie e di film, di libri letti e di teatro, di teatroterapia e di paesaggio. E di altro ancora. L'intenzione è comunque quella di raccordare la memoria con l'attualità per ritrovare il senso perduto degli eventi e per non dimenticare personaggi che con le loro vite hanno scritto pagine di storia non solo privata, ma anche collettiva. Molti di essi sono i miei riferimenti culturali e di valore. Il romanzo stesso dialoga con questi contenuti, in modo dinamico, in costante evoluzione, perché la memoria non è cristallizzazione ma è senso e significato. Mi piacerebbe che la lettura del blog desse anche il piacere della scoperta e di un punto di vista sul mondo spostato dalla norma, in qualche modo sorprendente. Buona lettura.

mercoledì 4 novembre 2015

Salò, urlo di dolore

Salò o Le 120 giornate di Sodoma
Il film di Pasolini, intendo.
Visto il 2 novembre al cinema Astra, in occasione della bella rassegna che è stata il cuore del 18° Parma Film Festival.
Versione originale restaurata.
Cioè mai così bella esteticamente, colori nitidi e luce perfetta, che permettono di apprezzare il capolavoro estetico costruito da Pasolini.
Lo spazio disegnato dentro alla villa, nel salone dei racconti e delle orge, un quadro neoclassico: la scala bianca, dalla quale scendono le narratrici, il tavolo di legno massiccio di fronte alla scala, l'ombra del tavolo simmetrica e trapezoidale sul pavimento.
Uno spazio freddo, teatro dello strazio dei corpi e delle anime dei giovani rapiti e schiavizzati.
Il film è tributario di De Sade e di Dante nella stessa misura; la discesa all'inferno delle giovani vittime è scandita da un antinferno, in cui i giovani vengono braccati nelle campagne padane e sottratti alle loro famiglie di "sovversivi"; segue il girone delle manie, in cui i corpi vengono usati come strumento di soddisfazione delle perversioni sadiche dei loro carnefici (un Duca, un Presidente, un'Eccellenza, un Monsignore: quattro poteri a formare un potere assoluto e totalmente anarchico: il Potere, incarnato nel fascismo storico della Repubblica di Salò); la discesa all'inferno prosegue con il girone della merda, in cui i giovani corpi, ridotti a merce nel girone precedente, vengono nutriti con i loro stessi escrementi (anticipazione mirabile del Junk fast food dei nostri tempi); conclude il supplizio il girone del sangue, in cui i corpi di chi abbia osato, anche in minima parte, contravvenire alle regole, all'obbligo di essere felici nel soddisfare come merce i desideri altrui, viene torturato in modo brutale: bruciature dei genitali, marchiature a fuoco, scotennature e mutilazioni varie... Un delirio di violenza brutale oscena in senso letterale, fuori dalla scena, per certi versi inguardabile. Un pugno allo stomaco, diverse volte ho dovuto deglutire per non star male.
Un film testamento, un capolavoro assoluto in cui la violenza si capovolge, grazie al disgusto, in lezione morale, facendo divenire il film un poema nero di grande potenza etica.
Due sequenze mi sono rimaste negli occhi più di altre: una, l'uccisione del collaborazionista che ha trasgredito alle regole facendo l'amore (desiderio vero e puro, non dettato dal regolamento del potere) con la servetta nera; colto sul fatto dai quattro signori del potere, li saluta col pugno alzato, da comunista, rendendoli per un attimo sbigottiti e sorpresi. Poi la violenza con cui i potenti scaricano le pistole su di lui è figlia della rabbia del potere deriso. Un gesto di libertà assoluta contro il potere assoluto, quando non c'è più niente da perdere.
La seconda sequenza è in realtà una serie di sequenze sul matrimonio: il matrimonio imposto dal Potere a un ragazzo e una ragazza, costretti poi a denudarsi e a "consumare" le nozze davanti ai signori, sul pavimento; il matrimonio grottesco di tre dei signori (il Duca, il Presidente, l'Eccellenza) travestiti da donna con tre dei ragazzi, nozze officiate dal Monsignore, naturalmente. Il matrimonio come contratto imposto e convenzione consunta, per ubbidire al potere e alle sue convenzioni; il matrimonio come struttura sociale parte integrante del sistema consumistico, svuotato da qualsiasi segno e simbolo d'amore.
Un film duro, senza speranza, dal finale apparentemente leggero: due giovani collaborazionisti cercano sulla radio le note del pezzo che accompagna tutta la vicenda in vari tratti di stacco dalla violenza; si tratta del brano di Morricone "Son tanto triste", un valzer leggero e melodico, come una carezza di sollievo nella violenza brutale del film.
Ebbene, quella conclusiva è una scena chiave per l'interpretazione del film: mentre i due ragazzi ballano fra loro uno chiede all'altro: "Come si chiama la tua fidanzata?" Margherita, risponde l'altro.
Conoscendo la poetica di Pasolini, non può essere un nome attribuito casualmente. E allora come non pensare alla Margherita fidanzata di Faust, un tale che aveva venduto l'anima al diavolo, come ha fatto il ragazzo collaborazionista con la ferocia del potere assoluto?
Condanna etica doppia, quindi da parte del regista.
Ma Margherita è anche colei che può riscattare la dignità umana di Faust. E allora il messaggio non è alternativo, ma duplice: da un lato la condanna di chi vende la propria anima al diavolo e che non può ricevere che il muto e rassegnato disprezzo dell'Autore; dall'altro, il poeta sembra dirci: solo nell'amore può esistere un riscatto.
Riscatto dalla violenza del potere, ma anche dalla pusillanimità di coloro che accettano la mercificazione degli altri, pur di slavare la pelle, senza capire che questo significa anche accettare la propria mercificazione. In un mondo totalmente alienato dal consumismo, che ha ridotto i corpi e le anime a merce.

Quando entri in un supermercato, se ti va bene puoi giusto scegliere la marca, è questa la libertà che ci è rimasta, ci dice Pasolini in quest'ultimo elevatissimo e potentissimo urlo di dolore.

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